Oriunda della Catalogna, nacque nel 1463 da nobili e ricchi genitori, della stirpe Richenza, i quali la diedero in sposa appena quindicenne a Giovanni Longo (Lonc), Gran Cancelliere del regno di Spagna e poi segretario del re. Dopo qualche anno a seguito di una malattia, conseguenza di un tentativo di avvelenamento da parte di una serva, rimase paralizzata.
Nel 1506, nonostante la paralisi, seguì con la famiglia il marito, che era stato trasferito nel Vicereame di Napoli; quindi si recò in pellegrinaggio a Loreto, dove si sentì prodigiosamente risanata. A 46 anni nel 1509 rimase vedova con tre figli. Da nobile e ricca spagnola, prese a dedicarsi alle opere di carità, così necessarie alla popolazione napoletana abbastanza povera, prima presso l’ospedale di S. Niccolò, poi grazie ai suoi beni, edificò lei stessa nel 1519, il celebre Ospedale degli Incurabili, ancora oggi completamente funzionante nel centro antico di Napoli e che sarà luogo di lavoro caritatevole di s. Gaetano da Thiene e degli altri ‘teatini’ giunti a Napoli nel 1533.
Con l’aiuto dello stesso s. Gaetano, divenuto suo direttore spirituale, scrisse le sapienti regole di conduzione dell’ospedale, di cui assunse la direzione; nel 1526 costruì una casa per le donne traviate, accanto al complesso ospedaliero e anche un monastero per pie donne, componendo per le due Istituzioni delle regole speciali.
Insieme con la duchessa di Termoli, Maria d’Jerbo riunì dame e giovani delle migliori famiglie napoletane, in una Congregazione dal titolo di “Madri della carità”, con lo scopo di aiutare gli ammalati poveri del suo ospedale; fece di tutto affinché i Cappuccini venissero a Napoli e per loro costruì il convento di S. Eframo Vecchio nel 1530.
Aveva 72 anni, quando ormai sistemati i suoi figli, si ritirò nel convento da lei fondato nel 1535 di S. Maria di Gerusalemme, detto dal popolo “il monastero delle trentatrè” forse perché si diceva che le suore non superavano il numero di 33; detto monastero seguiva la Regola del Terz’Ordine Francescano e poi subentrati nella direzione i frati cappuccini, seguì la Regola di S. Chiara, istituendosi così le prime suore Clarisse Cappuccine che da Napoli, si diffusero in tutta Italia.
Maria Lorenza Longo fu nominata badessa da papa Paolo III carica che conservò fino alla morte avvenuta a 79 anni, nel 1542 (alcune ricerche storiche sono propense ad indicare il 1539).
Madre Lorenza Longo affidò le sue suore, per il sostentamento, ai dirigenti dell’ospedale; ma alla fine del- l’800, esse furono relegate in uno spazio ristretto, a seguito delle leggi anticlericali imperanti e i _ del complesso monastico, chiostro, orto, refettorio ecc. fu incamerato dall’Ospedale degli Incurabili per allargarne le camerate di degenza e aprire altri reparti; le suore si ridussero a tre e nel corso di questo secolo appena trascorso, hanno sempre tentato di riavere parte dello spazio requisito, che le avrebbe permesso di vivere una vita claustrale più consona allo spirito della Regola.
Nel 1958 fu concesso loro un pezzo dell’orto del giardino, intanto buona parte del requisito, finì in uno stato di abbandono, rifugio per tossicodipendenti e pericolo per l’adiacente convento; finalmente la secolare questione ha avuto una provvisoria soluzione il 4 dicembre 2001, con la consegna alle Clarisse Cappuccine di Napoli, di tutte quelle aree non utilizzate dall’ospedale e che una volta, prima che venissero divise da alti muri che toglievano e tolgono aria al convento, erano appartenute all’Istituto fondato nel 1535 da Madre Maria Lorenza Longo, nel suo impeto d’amore per la cura, sia per il corpo che per le anime; nonostante tutto la sua figura è rimasta nel silenzio e nell’oscurità per quattro secoli: nascosta la Madre, nascoste le figlie Cappuccine; essa è ricordata nel suo Istituto da secoli al 21 dicembre, data presunta della sua morte, in attesa che la Chiesa l’annoveri ufficialmente fra i suoi beati.
Autore: Antonio Borrelli
Un maledetto intruglio
Da questo riuscito matrimonio si congettura che siano nati tre figli,ma si ha certezza storica,da un documento notarile del 1515, soltanto di una figlia di nome Speranza.
Gli anni trascorrevano in idilliaca serenità. Nella loro casa c’era identità di ideali,armonia di cuori,agiatezza economica,atmosfera sentimentale e profondamente religiosa. Sembrava che niente potesse mai turbare tanta felicità. Eppure un funesto giorno accadde l’imprevedibile. Appunto per la rettitudine morale,a cui si accoppiava una gran fermezza di carattere,al momento opportuno,la Madama Longo sapeva essere anche molto energica nel richiamare al dovere chi mancasse. Ora,tra la servitù,vi era una serva,la quale più volte aveva meritato di essere rimproverata per il suo spirito di insofferenza e ribellione. Un giorno però,questa sventurata decise di sfogare il suo diabolico odio accumulato da tanto tempo nel suo animo contro la sua padrona. L’occasione le fu data da un festa di ballo che si teneva nella casa dei Longo. Al momento del rinfresco,pose nella coppa della padrona un nefando intruglio velenoso. La povera signora avvertì subito dolori e convulsioni atroci,e la festa svanì in un’affannosa corsa ai rimedi capaci di scongiurare la catastrofe. Riuscirono a salvarle la vita,ma si ridusse ad un ombra di se stessa ,tutta rattrappita e paralitica,bisognosa di mille cure e premure.
Un personaggio misterioso
Erano passati anni da quel tristissimo episodio,che aveva reso la vita di Maria Longo tutto un doloroso tessuto di silenzio e di amorosa rassegnazione alla volontà di Dio,quando nell’autunno del 1506,il marito fu invitato da Ferdinando il cattolico a venire a Napoli. Questi che da poco aveva spodestato con turpe tradimento il nipote Federico II d’Aragona e aveva sconfitto i pretendenti francesi si recava a prendere personalmente possesso del regno delle Due Sicilie.
Maria ,essendo paralitica era in dubbio se seguire il marito o rimanere in Spagna. Decise,vista la sua fede ,di rivolgersi al suo confessore che le consigliò di pregare molto. Al termine di questo periodo di discernimento il confessore decise ella si rivolgesse per consiglio e risoluzione di questo fatto ad un santo eremita da lei conosciuto di fama. Quest’uomo di Dio di cui si ignora il nome le mandò a dire che ella se ne andasse con il marito perché Dio l’avrebbe donato salvezza e che si sarebbe servita di lei in quella terra straniera.
Obbedendo prontamente a questo consiglio,nonostante molti la sconsigliassero vivamente,date le sue condizioni, Maria si disse pronta a partire alla volta della sconosciuta capitale del Mezzogiorno d’Italia,insieme con tutta la sua famiglia.
E vi approdarono il 1 novembre 1506 con la flotta navale spagnola,forte di 50 galee,dopo una navigazione interminabile di due mesi.
Come dignitari del governo,trovarono alloggio sulle prime a Rua Catalana,nei pressi del porto.In seguito,però, si trasferirono più nell’interno della antica Neapolis greco-romana,verso san Domenico o via Tribunali.
Intanto il 30 giugno 1507,Re Ferdinando tornò in Spagna e forse Ioannes Llonc dovette riaccompagnarlo. Di lui non si conosce la sorte,ma è certo che nel 1509 la moglie Maria, vedova a 46 anni,era ridotta in uno stato da potersi considerare un povero relitto,rinchiusa sempre più nel silenzio e nella preghiera.
In questo anno,probabilmente incoraggiata da qualche persona amica,deliberò di attuare un suo antico progetto:visitare la Santa Casa della Madonna a Loreto. E vi andò in compagnia della figlia Speranza e del genero Gerardo di Omes,incurante della lunghezza e dei disagi di un viaggio che avrebbe dovuto seriamente impensierire perfino chi si trovasse nel pieno del suo vigore fisico.
Raggiunta la meta tanto sognata nei primi giorni di Giugno,si fece portare immediatamente al santuario,all’epoca in costruzione essendo divenuto da poco parte del patrimonio pontificio,nella speranza di ascoltare messa. Però data l’ora piuttosto avanzata tutti i sacerdoti avevano ormai celebrato. Anche il suo cappellano era introvabile. Tuttavia mandò suo genero in sacrestia perché si accordasse con il sacrestano per la celebrazione della messa della feria VI di Pentecoste che comincia con il versetto:” La mia bocca proclami la tua lode”. Mentre prendevano tali accordi si presentò con i paramenti un sacerdote sconosciuto che avvicinandosi all’altare della santa Cappella cantò proprio quell’introito.Col cuore mosso da misteriosi presentimenti Maria raggiante di gioia ascoltò la Messa con grande devozione.A lla lettura del Vangelo del Paralitico,infermo da 38 anni,mentre il sacerdote pronunciava le parole:”Dico a te alzati”,la signora Longo avvertì in maniera molto sensibile una mano che passava,risanandole,sulle sue membra malate. Avvertì quindi in tutto il suo essere un tremore che partendole dai ppiedi le squassò tutta la persona,risvegliando energie e provando un irresistibile bisogno di alzarsi,di muoversi di camminare di agire come una persona sana e come lei non faceva da lunghissimi anni. Allora si abbandonò ad un pianto dirottissimo ringraziando Dio e la Madonna per la misericordia usatale.Voleva anche ringraziare quel misterioso sacerdote ma non fu in alcun modo possibile rintracciarlo nonostante fossero stati inviati uomini alle porte della città per cercarlo.
A ricordo dello strepitoso avvenimento, Maria al suo nome volle aggiungerne un altro e da allora in poi si chiamò Maria Laurenzia. Ai piedi della Vergine forse vestì anche l’abito del terz’ordine francescano per esprimere in modo ancor più tangibile il suo fermo proposito di una vita di maggiore intensità spirituale.
La morte della Madre Lorenza Longo
Alla bolla di costituzione seguì una fase di temporaggiamento, durante la quale Maria Longo assistita dall’esperienza e dalla saggezza di San Gaetano mise a punto le regole e gli ordinamenti del suo monastero.
Si susseguirono i brevi e le concessioni papali vivae vocis oraculo accompagnate dalle lettere del Cardinale di curia Andrea Matteo Palmieri che si definiva suo obbedientissimo figlio.
Infatti la Madre temeva che senza l’autorità dei brevi papali il suo monastero,al pari di molti altri sorti a Napoli in quel tempo,potesse venire meno.
Tra questi il più famoso fu quello del 30 aprile 1536 “ALIAS NOS”che le concedeva di elevare il numero delle monache a 33 per avere sempre viva la durata della vita del Signore Gesù.
Nel 1538 finalmente,quando i teatini ottennero la chiesa di San Paolo,Maria con le sue 33 sorelle,con i veli sul volto, prese possesso di Santa Maria della Stalletta trasformandola nel protomonastero Santa Maria in Gerusalemme e affidando questa nascente creatura ai frati minori cappuccini.Chiese ed ottenne dal papa Paolo III la bolla Cum Monasterium del 10 12 1538 con la quale i Cappuccini erano obbligati sotto pena di scomunica latae sententia ad assistere in perpetuo il monastero visto che esso osservava ormai la regola di santa Chiara “strictissime”.
Avendo avuto una preoccupante forma di collasso nell’agosto del 1539,rinunziò alla carica di abbadessa e si diede tutta alla contemplazione.
Prima di morire,alle sue sorelle in lacrime raccomandò di essere fedeli alla regola professata e le esortò in modo particolare a volersi sempre bene e a sostenersi vicendevolmente nelle ardue ascensioni dello spirito.poi le abbracciò ad una ad una con immensa tenerezza.
Giunto il momento della fine pregò a lungo,si confessò con il suo padre spirituale fra Francesco da Liardo e preannunciò i “rumori “ di Napoli,cioè i disordini sociali del 1542, che puntualmente si verificarono.
Infine alle sorelle che la magnificavano per le grandi opere da lei compiute disse:”Sorelle a voi pare che io abbia fatto gran cose di buone opere;ma io in niente di me stessa confido. Un tantillo di fede mi ha salvato” e stretto un crocifisso al cuore esclamò:”Gesù,Gesù,Gesù” e si addormentò nella pace dei giusti.
Figlia autentica della Spagna cattolica, realizzatrice e governatrice del grande ospedale degli Incurabili,punto di riferimento di ogni riforma giunta o sorta a Napoli nei primi decenni del ‘500,mistica privilegiata di carismi e madre di anime, fondatrice di una delle più vitali famiglie delle clarisse,dopo un attività di risonanza mediterranea,al tramonto della vita si eclissa in un monastero di clausura,vi si confonde con le umili sorelle claustrali, e,morendo ne condivide la sepoltura comune.
Il Bellintani,riferisce che,quando si volle collocare la salma dell’amica Maria Ajerbo accanto al corpo di lei,questo disseppellito sprigionò all’intorno una meravigliosa fragranza di viole. E quando sei mesi dopo,trasferendo altrove la sepoltura,si identificò e si mise da parte la testa della venerabile,questa profumava di viola e dopo quasi 50 anni,quando scriveva il detto biografo egli affermava che questa “ancora di viola odorava”.
Si annunziava forse,con questo segno gentile,il silenzio che avrebbe ammantato,nella storia,la splendida figura della fondatrice delle cappuccine? Sembra di sì,se bisognò attendere nientemeno che il 1880 per iniziare a Napoli il processo ordinario informativo sulla fama di santità,e il 1892 per vedere introdotta,da Leone XIII,la causa di beatificazione;mentre i processi apostolici sulle virtù furono costruiti a Napoli negli anni 1893-1904.
Dopo 100 anni,nel giugno del 2004 il Postulatore generale dell’ordine dei frati minori cappuccini, P. Florio Tessari invia il libello al cardinale Giordano di Napoli per la riapertura del processo.
Secondo le nuove norme sui processi delle cause storiche si rende necessaria un’Indagine suppletiva sulla fama di santità della Ven. Maria Lorenza Longo.
Il 16 maggio di quest’anno si è celebrato nella chiesa del Protomonastero S. Maria in Gerusalemme la solenne chiusura dell’Indagine Suppletiva che inviata a Roma si spera possa essere un ottimo preludio per la solenne beatificazione della serva di Dio Maria Lorenza Longo attesa da 500 anni.