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Origini dell'Ospedale Incurabili

Ospedale certamente benemerito della carità e della cultura era quello degli Incurabili, dove Moscati prestava la sua opera. Era costituito da vari edifici in cui si aprivano corsie, gallerie, aule, corridoi, studi, circondati da giardini, chiostri, fontane.

Tutti i locali, oltre che di ammalati e ricoverati, rigurgitavano di clinici famosi, di assistenti, di infermieri e giovani studenti. Vi si tenevano corsi universitari e vi insegnavano uomini famosi, della statura di Leonardo Bianchi, Gaetano Rummo, Domenico Capozzi, Antonio Cardarelli.

L'Ospedale degli Incurabili, con l'annessa chiesa di Santa Maria del Popolo, vanta origini molto antiche, ed oltre ad essere casa di cura, è centro di fede, pietà e misericordia. Alla fine del 1400 in Italia, e a Napoli soprattutto, in seguito alla discesa di Carlo VIII, cominciava a dilagare il cosiddetto mal francese (lue venerea) o male dermoceltico, e coloro che ne venivano colpiti - ed erano moltissimi - erano ritenuti incurabili. La carità cristiana cominciò subito ad interessarsi di questi poveri infelici e ovunque sorsero lazzaretti e ospizi.

Nel 1497 se ne aprì uno al Carmine: fu il primo Incurabili nella città di Napoli. Ma colei che doveva dar vita al più famoso ospedale che ancora oggi porta questo nome fu una donna di origine catalana,Maria Richeza, che col marito Giovanni Longo, al seguito di Ferdinando III il cattolico, era venuta a Napoli nel 1506. Lei era una povera paralitica, diventata tale in seguito ad un avvelenamento perpetrato da una sua serva durante un banchetto. L'illustre giurisperito Giovanni Longo, alto ministro di Stato, alla fine di giugno 1507 tornò col suo re in Spagna, ma la moglie Maria rimase a Napoli con i suoi tre (?) figli e il genero. Purtroppo, due anni dopo, il nobile spagnolo morì e Maria non si mosse più dalla città partenopea.

 

La Ven. Maria Longo, fondatrice dell'Ospedale Incurabili.

Nel 1510, a quarantasette anni, fece un pellegrinaggio a Loreto, e qui, nella casa della Madonna, fece un voto: se fosse guarita avrebbe impegnato la sua esistenza in opere di carità, al servizio dei malati. Il miracolo avvenne dopo la celebrazione della messa e lei, in segno di gratitudine, prima di intraprendere il viaggio di ritorno, volle indossare l'abito del Terz'ordine francescano, assumendo il nome di Maria Laurenzia.

Dopo la guarigione, l'attività di Maria non conobbe soste. Girava per le numerose case di beneficenza e per gli ospedali, si interessava degli ammalati e li curava, cercava di coinvolgere nel suo benefico lavoro altre donne. Per alcuni anni si impegnò in modo particolare nell'Ospedale di San Nicola al Molo Piliero, nei pressi di Castel Nuovo, l'attuale Maschio Angioino.

Ma una svolta alla sua vita ed alla sua attività fu data nel 1518 da un notaio genovese, don Ettore Vernazza, che animato da vera carità girava per l'Italia, promuovendo l'opera degli incurabili. Era già stato a Genova, a Venezia, a Roma e in altre città, e ora desiderava fare altrettanto a Napoli, dove abbondavano sì gli ospedali, ma più ancora gli ammalati. Incontratosi con la Longo e manifestato a lei il suo progetto, a poco a poco ne vinse la resistenza, poiché in un primo momento lei si sentiva impari a un compito così alto.

Altre persone furono coinvolte, si fecero progetti, si discusse a lungo, finché il 10 febbraio 1520 fu stipulato un contratto per l'acquisto di case e giardini sull'altura di Sant'Angelo, nel sedile di Montagna. Maria Longo figurava al primo posto tra gli attori della stipula. Nello stesso anno cominciarono i lavori dell'Ospedale Incurabili, destinato a diventare il più grande e più importante di Napoli e del Mezzogiorno e uno dei maggiori d'Italia.

"Le linee imponenti dell'edificio - scrive P. Agostino Falanga - rivelano il genio del tempo; un maestoso portale di piperno vesuviano (pietrarsa), apre l'ingresso al grande cortile; qui ampie scale a rampe, armonizzanti con l'insieme architettonico, conducono ai piani delle corsie e dei vasti reparti. Chiostri, giardini, fontane, allietavano l'ambiente, che in certi punti aveva l'aspetto di certosa.

Con l'andar degli anni l'Ospedale conservò l'appellativo de "Gl'Incurabili", per quanto in realtà, fosse il vero stabilimento metropolitano per tutti i poveri e per tutti i mali. La fondazione di esso resta una pagina delle più belle della storia di Napoli, pagine in cui si fondono religione e civiltà, scienza e fede che tramandano ai posteri la pietà degli avi (3)".

Intanto si ottennero favori dal papa Adriano VI, fu compilata una costituzione del nuovo ospedale e nel 1522 i primi poveri incurabili presero possesso del loro ospedale. Nonostante le sue ritrosie, Maria presto fu nominata Rettora o Governante dell'ospedale, per cui buona parte del lavoro che vi si svolgeva poggiava sulle sue spalle: doveva disciplinare il flusso dei ricoverati, disporre i servizi, regolare le attività.

 

La Farmacia dell'Ospedale Incurabili, ricca di antichi vasi in maiolica del settecento napoletano.

Maria Longo nel 1533 fondò l'ordine delle Francescane del Terz'Ordine, ossia delle cappuccine, famose ancora oggi a Napoli sotto il nome delle Trentatré; fu nuovamente provata da Dio, perché le tornò l'antica paralisi e, dopo sedici anni di intenso lavoro, lasciava gli Incurabili, divenuta lei stessa una povera ammalata, ma sempre limpida di mente e ardente di carità.

Ebbe la gioia di essere guidata e sorretta da un Santo, Gaetano Thiene, e visse ancora sette anni in clausura tra le sue suore. Fu un tempo impegnato nella preghiera e nella penitenza e, nonostante la bufera che si abbatté sull'ordine dei cappuccini per le teorie eversive di Juan de Valdés, lei rimase fedele a Dio e alla Chiesa fino alla morte, avvenuta nel 1542.

Il P. Falanga ci fa sapere che ben venticinque tra santi, beati e venerabili hanno avuto relazione con l'Ospedale degli Incurabili, tra i quali, oltre S. Gaetano Thiene (1480-1716); S. Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), S. Giovanna Antida Thouret (1765-1826), la Ven. Caterina Volpicelli (1839-1892), il beato Ludovico da Casoria (1814-1885), il beato Bartolo Longo (1841-1926) e, ultimo in ordine di tempo, S. Giuseppe Moscati.

Purtroppo parte dell'Ospedale degli Incurabili (incluso il reparto del Prof. Moscati) è stata distrutta nell'ultima guerra. Ciò che resta è però sufficiente per farci ancora ammirare l'antica grandezza, e citiamo in particolar modo la Farmacia, ricca di eleganti stigli di noce, di vetri soffiati e soprattutto di vasi policromi: stupende maioliche settecentesche napoletane.

Note 

 

 

Testo e foto tratte del libro"I miei 50 anni in S. Maria del Popolo" di Don Filippo Eredità – ACM Torre del Greco 1977. Per gentile concessione dell’autore.
Cosi mi impegnai intensamente per la ricostruzione di S. Maria del Popolo con un progetto più ampio. Molta parte dell’ospedale Maresca fu donato alla chiesa in cambio della Canonica del Parroco che era situata sul fronte strada.Anche la congrega di S. Giovanni decollato esistente accanto alla Parrocchia e distrutta anch’essa dal bombardamento, per consenso dell’arcivescovo, fu annessa nell’area della ricostruenda Chiesa Parrocchiale.Così il tempio acquisto un’area abbastanza vasta e utile alla necessità dei fedeli in continua espansione nella circoscrizione parrocchiale che si estendeva da via Fiorillo fino alla Circumvallazione, confinante con parte di via Guglielmo Marconi e viale Ungheria.Durante la costruzione del tempio si rese necessaria una responsabilità maggiore per i contatti con il Genio Civile e con le imprese e cosi S. Eminenza Ascalesi decreto subito la mia nomina a Parroco: era il 23 ottobre 1947.

La Chiesa di S.Maria del Popolo, oggi
Soltanto il 23 dicembre 1950 mi fu dato il possesso canonico perché volli attendere la fine della ricostruzione della Chiesa ed entrare in quel possesso canonico continuando una successione di eventi: seminarista, sacerdote, vice parroco e parroco nella stessa Chiesa.Non è stato facile attirare i fedeli alla Parrocchia anche perché allora ed oggi è funzionante la Chiesa di S. Teresa dei frati Carmelitani, appena a cento metri di distanza, i quali hanno avuto una tradizione radicata nei fedeli del rione che ha preso il nome di S. Teresa.La parrocchia era conosciuta come la Chiesa dell’ospedale ed è stata fatica penetrare nella mentalità dei fedeli imponendo il vero titolo di S. Maria del Popolo. Per secoli era stata la cappella dell’ospedale che accoglieva le preghiere, le speranze e la gratitudine degli ammalati che si rivolgevano a Dio e alla cara immagine di Maria che si ammirava e si ammira sull’altare maggiore e che raccoglie sotto il suo manto stellato i bisognosi del suo aiuto materno.

L'altare maggiore di S. Maria del Popolo
"Meravigliosa immagine della Vergine dipinta su legno e con il Bambino Gesù in braccio che sovrasta i derelitti: infermi, minorati, storpi... inginocchiati – gli uomini separati dalle donne – che eleganti angioletti avvolgono e proteggono con un ampio mantello stellato; in alto due angeli incoronano il gruppo in un trionfo di luce" che risale al 1570 opera dell’artista napoletano De Angelo alias D’Acunto.Gia nel 1570 esisteva, quindi, un ospedale con annessa chiesa di S. Maria del Popolo sulla strada Regia verso Napoli: chiesa arricchita da indulgenze particolari come si rileva dalla lapide sita nel viale dell’attuale Chiesa sulla quale era pubblicata l’indulgenza concessa con bolla di S. Pio V che concedeva a coloro che visitavano la Chiesa e recitavano "un Pater ed un Ave" avanti a ciascuno dei suoi cinque altari e anche a quanti, confessati e contriti, visitavano la Chiesa nel giorno della nascita della Vergine.

La vecchia struttura bombardata ne 1943
La Chiesa e 1’ospedale, come dipendenza di quello degli Incurabili a Napoli, furono edificati dal gentiluomo napoletano don Ferrante Bucca d’Aragona.La Chiesa era di stile barocco, aveva una sola navata con il presbiterio più stretto e limitato da una balaustra. La volta era a botte decorata tutta di stucchi e illuminata da alti finestroni semicircolari. Alle pareti della Chiesa vi erano quadri di ottima fattura e la sagrestia era ricca di altri quadri di pittori famosi in quel tempo. Le suppellettili della Chiesa ricordavano una ricchezza notevole ed alcuni oggetti sacri erano doni offerti dagli ammalati dell’ospedale e da benefattori. Ricordo vari oggetti in argento cesellato, pianete in damasco, calici preziosi e un organo a canne che noi ragazzi amavamo tanto perché si faceva a gara a tirare le funi per dar aria alle canne dell’organo suonato da un bravo maestro.Il tutto ora giace sotto terra, coperto dalla massa di detriti caduti per il bombardamento del 13 settembre 1943 che colpi 1’ospedale e la Chiesa. (In questa circostanza fu distrutta anche la cappella di S. Maria della Misericordia che prese poi nome di Congrega dei Bianchi aggregata a quella di S. Giovanni Decollato dei Fiorentini in Roma. I confratelli di questa Congrega usavano vestirsi con camice bianco e cappuccio sul volto ed assistevano prevalentemente i condannati a morte. Sottostante alla Chiesa vi era- no due ampi locali che raccoglievano i resti mortali dei confratelli: sacerdoti e professionisti).n un ambiente si conservavano molto bene i loculi a forma di tempietti dove venivano deposti i cadaveri. Tutto il locale conservava teschi ed ossa dei defunti ben ordinati intorno ai tempietti. Il tutto ora e sotterrato dalla caduta del pavimento e dalle macerie delle due cappelle.
     La statua dell'Immacolata residente in Chiesa
Il padre spirituale della Congrega detta di S. Giovanni decollato, aveva intenzione di ricostruire detta congrega al cimitero, ma 1’Arcivescovo di Napoli Card. Ascalesi decise di dare più spazio alla costruenda Parrocchia e consiglio di annettere la Congrega nell’aria parrocchiale: purtroppo non se ne fece nulla!La testa di S. Giovanni, in legno ben lavorato, era poggiata su un piatto d’argento ed e ben custodita nella Basilica di S. Croce.L’Ospedale fu succursale degli Incurabili di Napoli e da questi amministrato e diretto dalla fine del settecento a quando nel 1927 ottenne 1’autonomia. Difatti 1’Ospedale nel 1927 fu riscattato dall’ente autonomo diretto dal medico Agostino Maresca.Nel novembre 1929 la Chiesa dell’Ospedale, cosi chiamata, ma dedicata a S. Maria del Popolo, fu eretta a Parrocchia dal Card. Alessio Ascalesi e fu la prima parrocchia dopo la secolare guida pastorale di S. Croce in tutta Torre del Greco. Il primo parroco nominato dal Cardinale fu Mons. Giuseppe Vitelli, cappellano dell’ospedale e membro del Consiglio di amministrazione. Mons. Vitelli aveva il suo appartamento da cappellano nell’ambito dell’ospedale fin dal 1901. Egli ottenne varie concessioni dall’amministrazione a beneficio della Parrocchia e specialmente 1’uso del salone che divideva la Parrocchia dalla Congrega di S. Giovanni Decollato e che era servito agli ammalati come spazio di riposo e di ricreazione.Il salone fu adibito a sagrestia (esisteva soltanto un modesto e stretto ambiente per 1’ufficio del cappellano) e ufficio parrocchiale. L’erezione a Parrocchia della Chiesa dell’ospedale cioè di S. Maria del Popolo. Parroco in varie azioni pastorali e in modo particolare si costituì un attivo movimento giovanile di Azione Cattolica. I confini della Parrocchia nel 1929 erano compresi tra via Fiorillo (confino con Ercolano), via Calastro, Corso Vittorio Emanuele, via Vittorio Veneto, parte di via Guglielmo Marconi, via Maresca, via Cimaglia, Circumvallazione e strade limitrofe.La chiesa più grande e più bella (m 28x30) fu costruita tra alterne vicende e sospensioni per il costo dell’opera e per nuove integrazioni e soltanto il 23 dicembre 1950 fu riaperta al culto. Non aveva ancora il pavimento né la porta di entrata ma avevo voluto prendere possesso canonico prima della fine dell’anno santo.La Parrocchia-tempio ormai era completata nella parte muraria, bisognava fornirla di tante cose necessarie per il culto e riempire 1’interno di pitture e di qualche altro altare.

La chiesa ricostruita dopo la guerra
Con il popolo si riuscì a realizzare la costruzione di due altari laterali dedicati a S. Antonio e al Cuore di Gesu. Le pareti disadorne furono impegnate da pitture che 1’amico Antonio Candurro artista e pittore, docente di Storia dell’Arte, realizzo, per la devozione di Basilio Liverino e del dott. Antonio Diaconale, con le immagini di S. Francesco e di S. Giuseppe. Dietro il Battistero c’era lo spazio bianco e fu occupato dal Battesimo di Gesù e sulla parete opposta pensai di ricordare tutte le vittime civili con la costruzione di un monumento su disegno del caro prof. Candurro e realizzato dall’amico Giovanni Vittorioso con i suoi operai.Al campanile bisognava sostituire le vecchie campane perché nella caduta causata dalle bombe, si erano procurate delle crepe. Il Genio civile, dopo la ricostruzione della Chiesa e del Campanile, fece rifondere le campane, dalla ditta Capezzuto di Napoli.Le vecchie campane erano del XVI secolo ma nessuna altra notizia ci risulta a riguardo. Azionate a mezzo impianto elettrico realizzato anni dopo dal Parroco, le campane danno un RE in 2’/8’ e un RE in 3’/8’, misurando cm 72, cm 62 e cm 40 e dovrebbero corrispondere rispettivamente ai pesi di 220, 140, 40 Kg. La campana maggiore ha una decorazione piu elaborata delle altre due. Tra due listelli scorre una scritta: VERBUM CARO FACTUM EST A. D. 1953 (Il Verbo e diventato carne Anno Domini 1953).

L'inaugurazione delle nuove campane
La fascia completa misura cm 5 di larghezza; segue un motivo decorativo con teste di angeli e festoni di cm 20. Al centro del corpo del vaso un medaglione ovale porta 1’effigie della Madonna del Popolo, la stessa che si trova effigiata nel quadro sull’altare maggiore della chiesa. La cornice che racchiude la figura e un rilievo di fiori e foglie e tutto 1’ovale misura cm 13x19 ed e chiuso tra la seguente scritta: "Ricostruzione di S.M. del Popolo".La fascia decorativa inferiore e formata da puttini danzanti e festoni e sul bordo delle svasature vi e un merletto tipico della decorazione usata dalla ditta. Foglie d’acanto continue si ritrovano ancora nella decorazione della campana mediana e nella più piccola che ha intreccio di archetti a sesto acuto con piccoli motivi floreali. Aggiunto al nome della ditta C.ne Capezzuto si trova questa volta anche la parola "e Figli".

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XIIAI DIPENDENTI DEGLI OSPEDALI RIUNITI DI NAPOLI*
Venerdì, 11 novembre 1955
 
Nell'accogliervi oggi in questa Nostra dimora, Noi sappiamo, diletti figli e figlie, di rispondere a un vostro ardente desiderio; siamo quindi particolarmente lieti di vedere ora il vostro grandioso gruppo, rappresentante quegli « Ospedali riuniti di Napoli », che da cinque secoli hanno scritto negli annali della Città partenopea splendide pagine di abnegazione, di carità viva, di instancabile dedizione nel servizio dei malati.
Bisogna infatti risalire al decimosesto secolo per assistere alla fondazione del primo dei vostri ospedali, quello di S. Maria del Popolo, detto poi degl'Incurabili, dovuto all'impulso di una anima fervorosa, e che doveva in breve tempo divenire un focolare luminoso di carità e un rifugio per i sofferenti; vi fu istituita una Scuola medica da una schiera di celebri Maestri, continuata fino al presente, senza perdere nulla del suo fulgore, nelle persone di insigni clinici. Agli Incurabili si aggiunsero in appresso altri edifici ospitalieri : il « Gesù e Maria », il « S. Maria della Pace », il « S. Maria di Loreto », sostenuti dalla generosità di donatori, che li misero in grado di estendere ad una sempre più larga cerchia di bisognosi il soccorso della assistenza sanitaria. Ma, come a tutte le opere di lunga lena, non poteva neanche a questa mancare la prova : il deperimento degl'impianti, la svalutazione della moneta, la mancanza di fondi misero gli Ospedali di Napoli in difficilissime condizioni. Al momento poi in cui lo Stato affrontando il problema del necessario lavoro di rinnovamento, intraprendeva la costruzione del magnifico edificio del « Cardarelli », la seconda grande guerra mondiale minacciò di rimettere in dubbio tutto l'avvenire dell'istituto. Un serio sforzo, compiuto negli ultimi due anni, ha permesso di condurre a buon fine l'opera di restaurazione, di guisa che al presente voi avete giustamente il vanto di una organizzazione ospitaliera divenuta perfettamente adeguata alle elevate esigenze che i progressi della. medicina pongono in questo campo: felice risultato di una cooperazione armoniosa da parte del Governo, dell'amministrazione comunale, di generosi cittadini, dei Professori, dei Dottori e dei dipendenti di ogni grado, pienamente coscienti della importanza sociale del loro lavoro e del peso della loro responsabilità.
Salutiamo di cuore gli addetti all'« Istituto Sanatoriale "Principi di Piemonte" » e alla « Clinica Tisiologica dell'Università di Napoli ». Conosciamo l'ingente lavoro intrapreso dal 1939 in questo centro di ricerche e di cure. Dotato di biblioteche e di laboratori scientifici, con una Scuola di specializzazione in Tisiologia, coi suoi centri di chirurgia, di statistica e di vaccinazione antitubercolare, costituisce, per così dire, una fortezza munita di armi molteplici e potenti per la lotta contro uno dei maggiori flagelli, che colpiscono ancora in maniera formidabile tante migliaia di vite umane. Tra i suoi principe mezzi di azione rileviamo la concezione patogenetica unitaria della tubercolosi, dovuta al suo illustre e altamente benemerito Direttore, onore della vostra Università, con un metodo di cura che porta il suo nome. Esso consiste soprattutto nell'aver introdotto fra tanti lavori e studi concernenti i diversi aspetti di quella malattia, una dottrina e un sistema che diagnostica e chiarisce il suo processo di evoluzione, permette di prevederne la direzione e apre così un cammino sicuro al medico pratico. Si deve segnalare altresì l'azione svolta, per ciò che riguarda la prevenzione della tubercolosi, in due popolosi quartieri della Città. I risultati ne sono stati felici e consolanti, tanto che, come si afferma, in sei anni i casi di morbosità per tubercolosi in quel settore sono stati ridotti di due terzi.
Questo breve e incompleto accenno all'azione ospitaliera e sanitaria nella Città di Napoli non ha avuto altro scopo, diletti figli e figlie, che di delineare a larghi tratti il quadro della vostra attività quotidiana. Noi vorremmo ora mostrarvi in qualche modo il senso profondo del vostro lavoro e la nobiltà dei suoi scopi.
A voi non sfugge certamente che le professioni dedicate alla cura dei malati importano al tempo stesso gravi responsabilità e pesanti doveri, ma anche grandi ed intime soddisfazioni. Se si eccettua il ministero sacerdotale, che entra in diretto contatto con le anime, nessun'altra categoria di persone più di voi penetra nell'uomo in momenti critici della vita, quando si trova di fronte al problema della sofferenza, e voi non ignorate in quali terribili forme questa può talvolta presentarsi. Voi avete veduto malati resi immobili da anni, gravemente minorati nel corpo e nelle facoltà spirituali, sottoposti a lunghe e dolorose cure, di cui non si può spesso garantire il felice esito. Alcuni sono privi di famiglia e di amici, e lottano soli contro il male che li opprime, con penose alternative di speranza e di sconforto.
A questo punto avete provato nel fondo dell'animo vostro l'ardente brama di andare in loro soccorso, di alleviare la loro angoscia; avete sentito quell'impulso, che metteva in opera tutte le risorse della vostra generosità. Quale cosa più delicata che di non offendere una sensibilità già ferita, dalle percezioni raffinate, dai riflessi ravvivati; quei malati, talvolta impazienti o capricciosi, attendono di essere trattati con premura, di essere considerati non come casi specificati dalla natura del loro male, ma come persone viventi; chiedono che sia veramente compreso il loro stato e il loro affanno. Ora non si può negare che gli Ospedali presentano per la persona del malato il pericolo di cadere in una certa « anonimia. ». Le necessità della organizzazione impongono in larga misura l'uso di disposizioni generali, che non permettono di tener conto di tutti gli aspetti particolari. I servizi ospitalieri sono regolati da norme che definiscono le prestazioni di ciascuno; una volta queste adempiute, il medico o l'infermiere possono credere sinceramente di aver soddisfatto tutti i loro doveri. Tuttavia la vera carità mira più lungi del semplice obbligo; non si crede mai pienamente appagata; non si risparmia nel dono di sè stessa; indovina e previene i desideri di coloro a cui si dedica; sopporta pazientemente i loro difetti. Ecco ciò che da voi si domanda in realtà, di saper pensare ad altri, per poter portare loro un interesse e un affetto profondi.
Senza dubbio la partecipazione alle altrui pene, la commiserazione che si mostra all'afflitto, esigono un grande oblio di sè; obbligano a desistere da ogni indifferenza e da una certa insensibilità, che affievolisce a poco a poco la vivacità delle reazioni dinanzi a uno spettacolo doloroso, ma sempre simile. In tal guisa la vostra attività, lungi dal divenire una ripetizione di atti materiali più o meno meccanici, importerà la viva testimonianza di una presenza fraterna presso un essere sofferente, e vi costringerà a penetrare e a coltivare nel fondo di voi stessi ciò che vi è di migliore, di più umano e soprattutto di più cristiano.
Poichè — e su questo punto vorremmo particolarmente attirare la vostra attenzione — voi avete potuto certamente rilevare più volte la forza della fede cristiana e di una speranza che oltrepassa le visioni troppo ristrette di questo mondo. Il malato ben sente che gli appoggi umani a mano a mano gli sfuggono; che anche se è circondato, confortato, consolato, nessuno può giungere fino al più intimo di lui stesso, e che deve sopportare da sè solo il suo destino. Il vero soccorso non può venire che da Dio, dal Cristo crocifisso, che con la sua grazia sostiene ed eleva lo spirito e il cuore. È però ben difficile per chi non vi è stato preparato, di aprirsi alle verità liberatrici, di rinunziare ad ogni vana rivolta, di entrare nella concezione redentrice, ove la sofferenza è considerata come espiazione della colpa, partecipazione alla passione di Cristo e al suo potere salvifico. Cosi Gesù attende che anime devote, fedeli, vigili, trasmettano il suo messaggio, lo interpretino e lo facciano comprendere ed accettare. In tal guisa, diletti figli e figlie, un magnifica campo di apostolato si apre al vostro zelo, e Noi siamo sicuri che voi avete già sperimentato come la vostra professione consegue là il suo fine più alto e vi attinge la forza di continuare il suo arduo lavoro. Voi trovate al tempo stesso le più durevoli gioie e le consolazioni più intime nella coscienza di compiere un'opera, che nè il tempo nè la morte varranno a distruggere.
Affinchè il divino Consolatore vi comunichi l'unzione della sua grazia e faccia voi i messaggeri della sua celeste Provvidenza, accordiamo di tutto cuore a voi, ai vostri malati, a tutti coloro che vi sono cari, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVII,  Diciassettesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1955 - 1° marzo 1956, pp. 389 - 392 Tipografia Poliglotta Vaticana

Il cimitero monumentale delle 366 fosse

Un terrazzamento naturale sulla collina di Poggioreale che si affaccia sulla periferia orientale di Napoli: questo il sito scelto da Ferdinando Fuga, nel 1762, per impiantare il Cimitero delle 366 fosse. Fu Ferdinando IV di Borbone, tramite il suo ministro Bernardo Tanucci, a commissionare il lavoro all’architetto toscano, con l’intento di realizzare un’opera degna di rilievo, di matrice razionalista, nell’ottica dello spirito dell’epoca dei lumi: doveva trattarsi di una struttura atta a raccogliere le salme dei popolani che invece, prima di allora, venivano gettate quotidianamente nella fossa dell’Ospedale degli Incurabili, oppure seppellite fuori città.

Strettamente legato proprio allo stesso Ospedale, non lontano dal mastodontico Albergo dei poveri(anch’esso opera del Fuga), il Cimitero occupa uno spazio quadrato, delimitato su tre lati da un muro di cinta e, sul quarto lato, che corrisponde all’ingresso, da uno spazio chiuso a pianta rettangolare, lastricato diagonalmente con pietra lavica grigia. La corte funebre, a cielo aperto,  presenta 366 fosse, in 19 file, chiuse ciascuna da una pietra tombale di 80 centimetri di lato, nelle quali venivano letteralmente gettate le salme dei poveri, ovvero di tutti coloro che non potevano permettersi una sepoltura individuale.

Il primo giorno dell’anno le salme venivano collocate nella fossa contrassegnata dal numero uno e via via, si procedeva fino a utilizzare la fossa 365; ogni sera la cavità, profonda 7 metri, veniva chiusa e sigillata. Il 29 febbraio degli anni bisestili veniva impiegata la fossa col numero 366(dal numero 361 a 366, le fosse risultano collocate al chiuso). Questo ordine e questa prassi venivano scrupolosamente rispettati, sempre.

 

 

 

Si racconta che nel 1875 una baronessa inglese che, durante un suo soggiorno a Napoli aveva perduto una figlia a causa di un’epidemia di colera, fosse rimasta sconvolta assistendo alla sepoltura di numerosi morti, lì nel Cimitero: ella volle, pertanto,  donare al Cimitero una “macchina funebre”, ovvero un argano di ferro dotato di quattro piedi, affinchè i poveri defunti potessero essere adagiati con delicatezza nelle fosse, per una maggiore dignità della persona umana.

Il Cimitero delle 366 fosse rappresenta un monumento di straordinaria importanza,  l’unico esempio conosciuto di “macchina illuminista” cimiteriale. Si tratta di un’attrezzatura civica che anticipa, di oltre cinquant’anni, gli editti napoleonici riguardanti l’igiene delle sepolture e il conseguente divieto di costruire cimiteri vicino a luoghi abitati.

Per chi, magari incuriosito da queste informazioni, volesse visitarlo, l’indirizzo è: via Fontanelle al Trivio, n.50. Napoli                                                   Autore: Gabriella Masotino

 

 

Chiesa di Santa Maria la Palma

La chiesa di Santa Maria la Palma (o Santa Maria della Libera ai Ferri Vecchi) è un'antica chiesa di

 Napoli, sita in via Ferri Vecchi, al Pendino. La chiesa fu fondata agli inizi del XIV secolo dalle abbienti famiglie napoletane dei Lanzalogna e dei Barbato, che la dedicarono alla Madonna della Libera, su un preesistente luogo di culto che la tradizione vuole donato dal console romano Anicio Equitio, padre di San Mauro, a san Benedetto.

Nel 1561 la rettoria della chiesa fu assegnata all'Ospedale degli Incurabili L'edificio fu restaurato nel 1583; l'altare maggiore fu rifatto in forme rococò nel 1751 Di interesse archelogico ed epigrafico una iscrizione marmorea, a sinistra della navata, riguardante i giochi gladiatori che si tenevano nella zona della Porta Carbonara L'edificio è stato chiuso al culto per diversi decenni; attualmente la curia l'ha ceduto in comodato ad una

Un percorso interrotto a Napoli: dall’Istituto S. Maria Regina Coeli all’Ospedale di Santa Maria del Popolo agli Incurabili

Un percorso interrotto a Napoli:dall’Istituto S. Maria Regina Coeli all’Ospedale di Santa Maria del Popolo agli IncurabiliElvira GentileAccademia di Storia dell’Arte Sanitaria – Centro regionale della CampaniaFarmacia Via Duomo, 80100 Napolielvira_gentile@hotmail.itAmelia NevolaPresidente Comitato MiscellaneaVia R. Marcone 49, 83013 Mercogliano (AV)nevola.amelia@tiscali.itSalendo verso Caponapoli 1, sull’incrocio di Via Pisanelli e Via Atri, incontriamo la Chiesa di S.Maria Regina Coeli, una delle più belle di Napoli, con attiguo convento delle Suore della Carità diSanta Giovanna Antida (Sancey-le-Long 1765-Napoli 1826), dal cui interno si accede a un piccologrigio cortile, che sembra sprofondare da uno scorcio di cielo tra quattro alte spoglie pareti. Nellaparete di fronte in basso sulla destra si nota un piccolo cancello chiuso a ridosso di un muroappositamente eretto per chiudere un passaggio, che tanti anni fa conduceva all’Ospedale di SantaMaria del Popolo agli Incurabili, famoso nel mondo anche per l’annessa settecentesca Farmaciadegli Incurabili. Era questo il percorso brevissimo che le Suore della Carità di Santa GiovannaAntida solitamente facevano per prestare la loro opera di assistenza degli ammalati e degli inferminel famoso ospedale voluto e realizzato dalla Venerabile Maria Lorenza Longo (Terra di Barcellona1463-Napoli 1539), fondatrice dell’Ordine delle Clarisse Cappuccine che occupano il vicinoMonastero delle “Trentatre”. L’opera delle Suore della Carità nell’ospedale riguardava mansionidiverse, dalle più umili all’assistenza degli ammalati; esse stesse preparavano i rimedi in uso a queitempi. Infatti il complesso di S. Maria Regina Coeli comprendeva anche una Farmacia, dove SantaGiovanna Antida preparava lei stessa i rimedi per alleviare i malesseri, non solo delle consorelle maanche degli abitanti del quartiere e dei pazienti dell’Ospedale di Santa Maria del Popolo agliIncurabili. Questa Farmacia prese il nome di “Farmacia della Santa Madre”.Un percorso nel tempo di circa tre secoli quello che unisce le due Sante giunte a Napoli negli stessiluoghi dalla Spagna e dalla Francia, spinte da un'unica fede, quella dell’assistenza fisica e spiritualedegli ammalati e degli infermi. Luoghi questi che potremmo definire sacri dal momento che hannovisto operare nello stesso ospedale degli Incurabili e per le stesse finalità numerosi altri santi, beatie venerabili: S. Gaetano Tiene (1480-1547), B. Giovanni Marinoni (1490-1562), B. Paolo BuraliArezzo (1511-1578), S. Andrea Avellino (1521-1608), V. Geremia Kostit Cappuccino (1556-1625),S. Francesco Caracciolo (1563-1608), S. Luigi Conzaga (1568-1592), S. Francesco De Gironimo(1642-1716), S. G. Giuseppe della Croce (1654-1734), S. Alfonso de’ Liguori (1696-1787), S.Pompilio Pirrotti (1710-1766), S. Maria Francesca delle C. Piaghe (1715-1791), V. Francesco daLagonegro (1717-1804), S. Francesco Sav. Bianchi (1743-1815), V. Gian Battista Jossa (1767-1828), V. D. Placido Baccher (1781-1851), V. Sisto Riario Sforza (1810-1877), V. Lodovico daCaloria (1814-1885), B. Nunzio Sulprizio (1817-1836), V. Luigi Avellino, V. Caterina Volpicelli(1839-1894), V. Bartolo Longo (1841-1926), V. Maria Landi (1861-1931), S. Giuseppe Moscati(1880-1927).Ma quali erano i rimedi allora impiegati? Uno sguardo più attento alle due Farmacie, quella degliIncurabili e quella della “Santa Madre” ce lo diranno. Quali piante medicinali erano coltivate nellevicinaze e particolarmente intorno al mitico canforo degli Incurabili?1 In epoca greco-romana era il punto più elevato della città, dove era stato sistemato il sepolcro di Partenope.

Brevi cenni storici

Prima che entrasse in funzione il manicomio di Aversa, i matti del Sud penin- sulare d'Italia venivano accolti e curati nell'Ospedale degli Incurabili di Napoli che provvedeva anche al ricovero di altri tipi di infermi. Di questo periodo sono giunte a noi scarse notizie, tra cui un manoscritto contenente le norme "per lo buon governo e retta amministrazione della Real Casa Santa de- gl'Incurabili", che più di altre testimonianze ha consentito di ricostruire i criteri che regolavano la vita dei matti e le funzioni dei vari operatori ad essa addetti.

Dal messagiere Tirolese volume 4

Chiesa della Monaca di Legno e la Riforma

La chiesa della Monaca di Legno e la chiesa della Riforma, sono due strutture storico-religiose della città di Napoli, inglobate nel Complesso degli Incurabili. Oltre alle principali chiese di Santa Maria del Popolo e la Congrega dei Bianchi, si registrano queste altre due chiesine, che facevano dapprima parte di due monasteri distinti.

La prima, prende la propria denominazione dal cognome di una delle prime suore che qui dimorarono; ma la leggenda vuole che una suora, tentando di uscire dal monastero, restasse ferma come una statua di legno Col decennio francese, la chiesa fu abbandonata, per poi essere concessa alla Confraternita della Visitazione di Maria, che vi collocò un quadro ovale della Vergine (opera di Paolo De Matteis) Nel 1867, i frati si trasferirono nel monastero di Donnaregina, portanto con sè l'opera d'arte La cappella fu quindi ceduta ad un'altra congrega.

 

Cenni storici sulla nascita delle farmacie

FACOLTÀ » STORIA

NOTA STORICA

Si può pensare che la storia della farmacia a Napoli inizi nella metà del 1500, infatti a quei tempi esistevano gli speziali di medicina e gli speziali manuali o droghieri. Proprio in quel periodo al fine di regolamentare la professione fu stabilito che gli speziali regolarmente detti di medicina dovevano essere in possesso di un titolo specifico ed essere sottoposti a verifica del Protomedicato attraverso un esame prima di ottenere la “cedola” o “privilegio” necessario per esercitare. Dal  1588 (420 anni fa) si organizza “La corporazione degli speziali manuali e droghieri di questa fedelissima città di Napoli” nel Pio Monte si S. Pietro in Vinculis con la sede in via Sedile di Porto n. 42, nell’omonima chiesa che la corporazione conservò fino la 1826. Nel 1730 gli speziali di medicina (medicamentarii) facenti parte della corporazione (sodales) ottengono la chiesa dedicata al culto dei Santi Pellegrino ed Emiliano come sede dell’arciconfraternita (poi divenuta congregazione).

Nel 1799 viene chiuso il collegio medico-cerusico in quanto considerato un “focolaio di politicanti rivoluzionari” poiché i “ pratici” degli incurabili avevano avuto una parte molto attiva nella Repubblica Napoletana. Questo evento diede un serio colpo, non solo alla professione di medico-cerusico, ma anche a quella di Farmacista. Si arriva così al 1804 quando il marchese Francesco Russo amministratore unico dell’ospedale degli incurabili dal 1800 lamenta che con ”l’abolizione totale di tal collegio di giovani studenti, e con esso, delle cattedre annessevi, cioè di Logica, e Metafisica, di Fisica, di Chimica, di Fisiologia, di Medicina prattica, di Medicina Efficace, e di Notoria, la professione sì medica, che chirurgica va in decadenza” Il Collegio viene riaperto nel 1813 in seguito al decreto di Murat del 14 Maggio 1810 che prevedeva lo “stabilimento di un Collegio di allievi medici, chirurghi e farmacisti nell’Ospedale degli Incurabili”. L’intero insegnamento aveva la durata di cinque anni per gli allievi medici e chirurghi e tre per gli allievi farmacisti. Tra le materie previste per l’insegnamento c’era la Chimica Medicinale e tutto ciò che concerne le proprietà delle piante e delle droghe usuali, e tra le attrezzature della scuola un laboratorio chimico, oltre alla biblioteca e il gabinetto anatomico.  Sono previsti allievi solo a pagamento: sei ducati al mese nella prima classe e quattro nella seconda. Nei primi decenni dell’ottocento c’è grande attenzione da parte dei governatori dell’Ospedale degli Incurabili per i farmacisti e la loro formazione. Presso l’ospedale sorge un “orto de’semplici” per uso degli studenti del “Real Collegio Medico-cerusico” su iniziativa di Vincenzo Stellati (1780-1852). Sempre per provvedere all’istruzione degli allievi del collegio alla fine del 1812 viene affidata la cattedra di Chimica Farmaceutica al Signor Michele Leone. Nel Marzo del 1813, dopo la riapertura del Collegio, due giardinetti esistenti nell’ospedale sono trasformati in giardino botanico ”per utile della farmacia e per l’istruzione degli alunni del Collegio”. I farmacisti però sono assenti dal regolamento definitivo per il Collegio approvato il 22 Maggio 1816 e redatto dalla Commissione di Pubblica Istruzione con la consulenza di Cotugno e Ronchi per la parte scientifica. Nel mese di Settembre dello stesso anno la Commissione di Pubblica Istruzione alle cui dipendenze è passato il Collegio stabilisce che il professore di patologia Benedetto Wipes farà “senza soldo” lezione di Chimica e Farmacia e Vincenzo Stellati  occuperà “senza soldo” la cattedra di Botanica all’interno del Collegio. Il problema dell’istruzione dei farmacisti viene riproposto con forza nel 1819 quando dopo un proclama apparso sul ”Giornale del Regno delle due Sicilie” viene approvato il progetto di una nuova camerata di farmacisti a pagamento il 20 Ottobre 1819. Il costo è di 120 ducati all’anno ”godendo così per gli alimenti come per l’abitazione, uniforme direzione, gli stessi diritti de’ medici e cerusici”. Il 10 Novembre viene nominato professore di Chimica Farmaceutica  del Collegio medico don Francesco Lancellotti che già insegna nella Regia Università. Nel 1820 la riforma del Regolamento per la collazione dei gradi dottorali riguarda (art.4) anche gli aspiranti alla cedola in Farmacia. Come materie d’esame stabilisce quelle scienze che sono più “colligate tra loro in modo che la cognizione dell’una non possa separarsi dall’altra”. Diventano obbligatorie  la Chimica Farmaceutica, la Botanica, per la parte delle piante officinali, e la Mineralogia per quel che riguarda gli “usi farmaceutici”. Viene richiesta anche una ”preparazione pratica” con una “operazione chimico-farmaceutica” che va eseguita in presenza di esaminatori. 

L’affermazione della medicina ”scientifica” trasforma profondamente l’esercizio della professione per medici e chirurghi, ma fa sentire i suoi effetti anche sull’esercizio delle “arti salutari minori”. Speziali di Farmacia, speziali manuali e droghieri, salassatori, levatrici, bracherai, erniari, curapiedi, limatori di calli, stufatoli, conciaossa, barbieri, semplicisti, erboristi sono tasselli di un'organizzazione sanitaria oramai legata al passato anche se dura a morire; si pensi che i salassatori scompaiono completamente dal censimento nel 1871 in quanto accorpati ai barbieri, autorizzati a praticare il salasso fino al 1890. Nel 1836 abbiamo le prime istruzioni per trasformare in Scuola un corso di studi farmaceutici, per ottenere la cedola ed il privilegio, ma solo nel 1862 viene istituita una regolare Scuola di Farmacia. Questa ha il direttore di nomina regia, professori di Botanica, Materia Medica, Chimica Farmaceutica e l’obbligo di frequenza delle lezioni.

Il regolamento per il Corso Chimico Farmaceutico necessario per ottenere il Diploma di Farmacista. venne approvato con Regio Decreto n.852 del 5 Ottobre 1862. Nel 1865 a Napoli viene creata la Scuola di Farmacia ed il primo regolamento di cui si ha notizia risale al 1876. La Scuola di Farmacia fa parte della Facoltà di Fisica e Scienze Naturali ed il primo laboratorio moderno fu realizzato da Luigi Sementini (1777-1847). Lo sviluppo degli studi di Farmacia a Napoli fu da allora, per un lungo periodo, strettamente legato a quello degli studi di Chimica. Ubicata prima nei locali del Salvatore fu trasferita all’inizio del Novecento in un convento, un complesso monumentale di eccezionale interesse artistico e storico situato tra Largo San Marcellino e Via Rodinò sulla Rocca di Monterone  dove per molti anni è stato presente solo l’Istituto di Chimica Farmaceutica. All’atto della sua fondazione la Scuola di Farmacia ebbe sette insegnamenti: Mineralogia, Botanica, Fisica, Materia medica, Chimica Inorganica ed Organica, Chimica Farmaceutica e Tossicologia, Chimica Analitica tutti fondamentali ed uno complementare, la Storia dei Medicamenti. Successive modifiche del Regolamento della Scuola portarono a 14 gli esami obbligatori da superare da scegliere tra 17 insegnamenti, 4 corsi di esercitazioni pratiche ed il superamento di due prove finali una prima di carattere pratico, la seconda di carattere teorico. Per effetto della riforma De Vecchi, legge del 13 Giugno 1935, la Scuola di Farmacia divenne Facoltà di Farmacia e fu abilitata a conferire la sola Laurea in Farmacia dopo che lo studente aveva seguito i corsi e superato gli esami di 11 insegnamenti fondamentali, 4 complementari ed aveva compiuto un periodo di pratica presso una farmacia autorizzata. L’esame finale consisteva in una serie di prove pratiche e nella compilazione di una dissertazione sperimentale di carattere critico originale su di un tema scelto dal candidato in materia rispondente ai fini della laurea.

L'attività della Facoltà è stata sempre caratterizzata da un continuo ed interessante sforzo di rinnovamento e perfezionamento. Al vecchio Istituto di Chimica Farmaceutica si sono affiancati quelli di Farmacologia Sperimentale e di Biorganica, e questi sono confluiti rispettivamente nei Dipartimenti di Chimica Farmaceutica e Tossicologica,Farmacologia Sperimentale e Chimica delle Sostanze Naturali, con una tempestività che ha fatto sì che la Facoltà sia stata la prima dell'Ateneo Fridericiano ad essere completamente dipartimentalizzata, a testimonianza della profonda convinzione di tutta la Facoltà nella importanza della sperimentazione dipartimentale. Nello stesso tempo i dipartimenti, in perfetto spirito unitario, hanno portato a compimento la realizzazione di due importanti strutture, indispensabili per l'attività didattica e scientifica: la Biblioteca di Facoltà ed il Centro di Analisi Strumentale. Nel1980, poi, è stato istituito il nuovo Corso di Laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche che, in breve tempo, ha raggiunto un prestigio pari a quello dei corsi di maggiore anzianità e tradizione.
Nel 1977 è stata istituita, prima in Italia, la Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, successivamente quella di Farmacologia e, più recentemente, quella in Scienza e Tecnica delle Piante Officinali. Nel 1984 è stato istituito il Dottorato di ricerca in Scienze Farmaceutiche, affiancato - nel 1987 - dal Dottorato di ricerca in Sostanze Naturali Farmacologicamente Attive; nel 2000 i due dottorati sono confluiti nel Dottorato di ricerca in Scienza del Farmaco. Nel 1994 è stato istituito il Diploma di Laurea in Controllo di Qualità nel settore indusrtiale farmaceutico che, a seguito della riforma degli Ordinamenti didattici degli studi universitari, nel 2001 si é trasformato nel Corso di laurea in Controllo di Qualità, articolato in cinque indirizzi rispondenti a precise esigenze di controllo chimico-tecnologico, biologico e tossicologiche, avanzate dal mondo produttivo, dagli organi di controllo e dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale L'offerta formativa della Facoltà di Farmacia é stata ulteriormente arricchita dall'istituzione del Corso di laurea in Erboristeria (attualmente Scienze Erboristiche)cha ha lo scopo di preparare laureati con buone conoscenze di base ed applicative nel settore erboristico. Successivamente é stato istituito il Corso di laurea in Informazione Scientifica sul Farmaco e sui Prodotti Diagnostici finalizzato alla formazione di un laureato con competenze di tipo chimico e biologico per svolgere il ruolo di informatore scientifico nel settore del farmaco, dei prodotti diagnostici, biotecnologici, nutrizionali e dietetici, cosmetologici, dei dispositivi medici ed in generale dei prodotti della salute. Lo sviluppo che ha caratterizzato la Facoltà in questi ultimi anni ha avuto come momento significativo il trasferimento, nel 1989, nella nuova sede di Cappella dei Cangiani. La nuova sede ha indubbiamente consentito una più serena e più funzionale attività per docenti e studenti, essendo stata intelligentemente progettata per riunire in un unico edificio - articolato in tre corpi tra loro armoniosamente integrati - tutte le attività didattiche e di ricerca.

La vecchia Facoltà di via Rodinò

Ingresso dell'Aula Magna

Il  primo Direttore della Scuola di Farmacia fu Mamone Capria Domenico nel 1888 a cui si sono succeduti nell’ordinePiutti Arnaldo (1901-1902), Scacchi Eugenio (1903-1907), Oglialoro Todaro Agostino (1908-1909), Piutti Arnaldo(1910-1912), Monticelli Francesco Saverio (1913-1914), Regio Commissario (1914-1922), Cavara Fridiano (1923-1924), Savioli Giuseppe (1924-1928), De Blasi Dante (1928-1930), Pierantoni Umberto (1930-1934). Dal 1934 ad oggi si sono poi succeduti nell’ordine i Presidi: Malguori Giovanni (1934-1939), Quagliariello Gaetano (1939-1946),Scherillo Antonio (1946-1949), Beretta Ugo (1949-1955), Covello Mario (1955-1976), Sorrentino Ludovico (1976-1979), Ruffo Alfredo (1979-1981), Schettino Oreste (1981-1984), Di Rosa Massimo (1984-1987), Fattorusso Ernesto (1987-1990), Vittoria Antonio (1990-1993), Sorrentino Ludovico (1993-1996), Minale Luigi (1996-1998),Fattorusso Ernesto (1998-2000), Novellino Ettore (2000-2006), Cirino Giuseppe (2006 a tutt’oggi).